Voci che porto altrove

Non sono strumenti, sono compagni di cammino.
Ognuno ha una storia, un luogo, un respiro.
Vengono da deserti e montagne, da cortili assolati e mercati affollati.
Li porto con me ovunque vada,
perché in ogni suono c’è un frammento del mio viaggio,
e in ogni viaggio, un suono che mi chiama per nome.

Non li suono per imitare,
li suono perché mi hanno chiamato.
Perché nelle loro corde, nei loro respiri,
ho riconosciuto il suono del mio silenzio.

Accogliere il suono di un’altra cultura
è un gesto d’amore, non di possesso.
È ascoltare fino in fondo,
fino a quando quel suono diventa voce mia,
senza smettere mai di essere altro.

Lo porto con me non per farlo mio,
ma per camminarci insieme.

Libero Reina playing Persian Santoor into the party
Libero Reina playing Persian Santoor into the party
a man with long hair and a beard playing a Tunisian Mezoued
a man with long hair and a beard playing a Tunisian Mezoued

Le mie voci

Ecco chi ha scelto di condividere il suo percorso con me.
Vengono da Tunisia, Persia, Anatolia, Sicilia.
Ciascuno ha il suo peso, il suo profumo, il suo modo di restare in silenzio.
Insieme compongono la mia grammatica sonora.
Li porto in scena come si portano le storie:
con rispetto, con cura, con desiderio di farle vibrare ancora.

Libero Reina spinning a Persian Santoor in a dark room
Libero Reina spinning a Persian Santoor in a dark room
a man with long hair and a Persian Setar
a man with long hair and a Persian Setar

Mezoued (Tunisia)

Santoor (Persia)

Setar (Persia)

È il primo strumento che ho ricevuto dall’Iran.
Alla dogana mi hanno chiesto mille documenti, ma alla fine è arrivato — come un segno.
Con il suo arrivo, ho trovato note che sulla chitarra non esistevano,
e una strada nuova si è aperta: quella della mia anima in cerca di Oriente.

L’ho trovato a Tunisi, la prima volta che sono andato.
In un piccolo negozio, tra strumenti impolverati e occhi increduli:
“Un siciliano che cerca un Mezoued?”
L’ho preso tra le mani e l’ho suonato subito, come se mi aspettasse da tempo.
Da allora, ogni volta che soffio dentro quel suono, sento il respiro di due terre che si riconoscono.

È il cuore dei miei assoli, la mia chitarra elettrica fatta di corde e legno.
Lo suono come un pianoforte, cercando in ogni colpo di bacchetta un respiro, una ferita, una luce.
Il suo suono vibra come sabbia al vento: antico, ma sempre nuovo, come se stesse ancora cercando la sua forma.